
“ Egregio direttore Vaia,
Egregio professor Nicastri,
gentile dottoressa D’Abramo,
è finita. La mia degenza nel Vostro ospedale si chiuderà tra pochissimo, dopo oltre 45 giorni carichi di emozioni. Ho avuto paura, non lo nascondo: questo virus maledetto incute terrore nonostante voi, uomini e donne di Scienza, lo abbiate sufficientemente identificato e parzialmente snidato. Io mi inchino davanti a chi rischia la propria vita per salvare quella degli altri.
E’ scritto nel Talmud di Babilonia: “Chi salva una vita salva il mondo intero”. Voi avete salvato la mia, dedicandomi tempo e passione. Non mi sarà possibile dimenticarlo.
Ho avuto paura, lo confermo, ma qui mi sono sentita spalleggiata, protetta in ogni momento. Diciamo anche “coccolata”, perché anche questo serve quando si trascorre così tanto tempo lontano dai propri affetti. Non vi siete risparmiati, sappiatelo. In nulla.
Non potrò dimenticare la grande cortesia di Andrea, lui che per primo si prese cura di me quando, in lacrime, la sera del 13 novembre, salutai mio marito e mio figlio e presi possesso del mio letto, il numero 14 (poi diventato 5). E come non citare tutte le infermiere che, operano nella Quarta Divisione: instancabili, professionali e sempre con il sorriso.
Sapete quale è stato, per giorni, il mio cruccio più grande? Quello di temere che, una volta uscita da qui, nel caso avessi incontrato uno di voi, non avrei mai potuto riconoscerne le fattezze. Fa venire questi pensieri la bestia Covid. Perché ci costringe a vivere mascherati, come astronauti.
È stato un onore avervi conosciuto. Grazie, direttore Vaia, grazie professor Nicastri. Grazie dottoressa D’Abramo anche per quella Sua straordinaria sensibilità che, appena pochi minuti fa, mi ha dimostrato venendomi a salutare. Grazie a tutti per avermi riportato alla vita. Grazie per avermi dimostrato che in questo Paese le eccellenze ci sono.
Avete un’amica in più. Non so se mi ricorderete: io sicuramente vi porterò nel cuore.
Ore 20,42 30 dic 2020 ospedale Spallanzani
C. D. “